La teoria
Alfred Wegener (1880-1930), geofisico e meteorologo tedesco, sistemando in modo organico i dati acquisiti dagli studi precedenti, formulò la teoria della deriva dei continenti, che espose nel 1912 al congresso della Società Geologica di Francoforte ottenendo sconcerto tra i presenti. I risultati furono pubblicati nella forma completa nel 1915, nello scritto La formazione dei continenti e degli oceani. Il testo ebbe revisioni successive nel 1920, 1922, 1929, rispondendo alle critiche, ampliando e aggiungendo nuovi dati. Per vari motivi le diverse versioni del testo ebbero difficoltà nella diffusione.
Le critiche feroci dei geologi, soprattutto americani, fecero dimenticare la teoria di Wegener (ancora nel 1949 era ritenuta una favola) fino all'arrivo della nuova teoria della Tettonica delle Placche.
Wegener abbandonò il vecchio concetto di ponti continentali e propose un modello globale in cui i continenti si muovevano e gli oceani che allargavano. Egli supponeva che 200 milioni di anni fa esistesse un unico grande continente, la Pangèa, circondato dall'oceano Panthàlassa, che si sarebbe suddiviso in blocchi. In realtà all'inizio la Pangea era distinta in due grandi blocchi: uno boreale, detto Laurasia e comprendente Nord America, Europa e Asia, e uno australe, detto Gondwana, comprendente Sud America, Africa, Antartide, Madagascar, India e Australia. Questi blocchi continentali avrebbero iniziato a migrare sulla superficie terrestre, comportandosi come delle zattere di sial (la crosta) che galleggiano sul sima (corrispondente al mantello) andando alla deriva.
A causa dell'attrito e della compressione della crosta sul sial, i bordi continentali si sarebbero incurvati originando le catene montuose. In particolare, lo spostamento delle Americhe verso ovest avrebbe formato le Ande e le Montagne Rocciose, mentre l'Himalaya si sarebbe sollevato durante il movimento del blocco indo-asiatico verso nord. L'uncino patagonico e le Antille, invece, sarebbero la conseguenza del ritardo di queste aree rispetto al blocco principale.La teoria era sostenuta da una vasta serie di dati geofisici, geologici, paleontologici e paleoclimatici.
In alto a sinistra: Alfred Wegener
A destra: La suddivisione della Pangea secondo Wegener
Sopra: La formazione delle montagne sui bordi dei continenti
Le prove
Prove geodetiche
Wegener cercò di documentare gli spostamenti laterali dei continenti mediante ripetute osservazioni geodetiche durante le sue spedizioni in Groenlandia. Egli registrava ogni piccola variazione di posizione mediante continui controlli astronomici e trasmissioni radio. Nel 1929 i risultati di tali misure sembrarono indicare una deriva verso occidente della Groenlandia rispetto all'Europa di circa 32 metri l'anno. Il valore è risultato eccessivo (come egli stesso ammise successivamente) e ciò mise in dubbio tutte le valutazioni. Lo spostamento si verifica realmente ma è di alcuni centimetri l'anno.
Prove topografiche
L'analisi topografico-statistica della superficie terrestre rivela due livelli predominanti in corrispondenza dei continenti e dei fondali oceanici. Questo è ammissibile solo ammettendo che la crosta sia formata da due strati: uno superiore, più leggero, formato prevalentemente da granito; uno strato inferiore, più pesante, composto da basalto, gabbro e peridotite, che forma il pavimento oceanico. Se la subsidenza e i sollevamenti fossero casuali, ci si aspetterebbe una distribuzione gaussiana delle elevazioni.
Prove geofisiche
Secondo il principio dell'isostasia, il sima si comporta come un fluido denso in cui i blocchi continentali possono compiere movimenti verticali. Wegener fece osservare che se i blocchi possono muoversi verticalmente, non c'è alcuna ragione per non pensare che questi blocchi siano in grado di muoversi anche orizzontalmente se ci sono forze sufficienti a spostare lateralmente i continenti, per cui ipotizzò che i continenti si comportassero come zattere che si spostavano sul sima. Questo fenomeno poteva inoltre spiegare la presenza di pieghe compressive nelle Alpi, nell'Himalaya e nelle Ande.
Prove geografiche
Wegener, osservando la corrispondenza di forma fra le linee di costa dell'America meridionale e dell'Africa, ipotizzò che i continenti potessero un tempo essere stati uniti tra loro.
L'ipotesi venne da alcuni criticata perché essi si basavano sulla forma attuale delle coste; la non perfetta corrispondenza in alcune aree potrebbe essere dovuta ad ondulazioni prodotte da orogenesi del terziario, ma anche dal fatto che le coste sono continuamente modificate dall'erosione perciò è poco probabile trovare oggi una valida corrispondenza.
All'inizio degli anni '60 Edward Bullard, costruì una carta di combaciabilità utilizzato come confine la scarpata continentale, invece della costa, ottenendo una corrispondenza molto maggiore. La sovrapposizione dei mari in alcuni punti è dovuta al fatto che in quelle zone, dopo la separazione dei continenti, i fiumi hanno depositato grandi quantità di sedimenti, facendo allargare la piattaforma continentale.
Le coste dei continenti combaciano
Prove geologiche
Nel far combaciare i bordi dei continenti, Wegener notò una correlazione tra le successioni stratigrafiche e anche tra le catene montuose, le quali sembravano proseguire dal Sudamerica all'Africa.
In particolare, la catena della Provincia del Capo, in Sud Africa, trovava la sua prosecuzione nelle catene della regione di Buenos Aires, in Argentina, e in quelle dell'Antartide. La «serie del Karroo», in Sud Africa, una successione di rocce sedimentarie formatesi in ambiente continentale oltre 200 milioni di anni fa, è praticamente uguale a quella che affiora nella regione di Santa Caterina, in Brasile. Le catene montuose paleozoiche della Norvegia, della Groenlandia, della Scozia, assumevano uno sviluppo unitario se si accostavano le rispettive terre.
Continuità di rocce e catene montuose tra continenti
La testimonianza dei fossili
All'inizio del secolo, i paleontologi spiegavano la somiglianza tra le specie di animali e vegetali fossili rinvenute nei diversi continenti con la presenza di ponti continentali che dovevano collegare le diverse terre. Questi ponti sarebbero poi sprofondati in fondo agli oceani.
Wegener, basandosi sulle evidenze geofisiche e sul principio dell'isostasia, mostrò l'impossibilità dell'esistenza di questi ponti naturali, giustificando la distribuzione delle specie viventi con il contatto che doveva esserci stato in passato tra i continenti.
Si sapeva anche che la felce fossile Glossopteris era largamente diffusa nell'Era Mesozoica in Africa, Australia e Sudamerica, tutti continenti dell'emisfero meridionale (in seguito sono stati scoperti resti di Glossopteris anche nell'Antartide). Inoltre, sia in Sudamerica orientale che in Africa occidentale, vennero trovati resti fossili di uno stesso tipo di rettile, il Mesosaurus; anche se molto probabilmente questo rettile, adatto al nuoto, frequentava i mari poco profondi, esso non era certamente in grado di intraprendere un lungo viaggio attraverso l'Oceano Atlantico.
Presunti ponti tra continenti
In alto a destra: Distribuzione di animali e piante tra continenti (Crediti: Osvaldocangaspadilla/
Wikimedia Commons
- modificato)
Spiegazioni del passato per giustificare la distribuzione degli animali
E.J. TARBUCK, F.K. LUTGENS, D. TASA,
Earth Science
, Prentice Hall, New Jersey 2012, p. 197.
Prove paleoclimatiche
Wegener, in quanto meteorologo, studiò gli antichi climi. Egli osservò che strati di tilliti (depositi rocciosi di origine glaciale), tra loro contemporanei (tra i 220 e i 300 milioni di anni fa) erano presenti sia in Africa meridionale che in Sudamerica, India e Australia, e sotto di essi si trova roccia in posto, striata e solcata, mentre in Siberia, America settentrionale ed Europa centrosettentrionale trovo dei carboni fossili della stessa età delle tilliti, ma formate da resti vegetali tipici di climi tropicali. La maggior parte delle terre che presentano le tracce della glaciazione paleozoica si trovano oggi in una fascia, compresa entro 30° dall'equatore, dove il clima è semitropicale.
Poiché è difficile credere che ci sia stato un periodo così freddo da estendere la coltre glaciale fino ai tropici, dal momento che alle medie e alte latitudini dell'emisfero settentrionale nello stesso periodo c'erano foreste lussureggianti, Wegener sostenne che l'evento era più facilmente spiegabile ipotizzando che i continenti fossero stati uniti in un solo blocco posto vicino al Polo Sud. Questo giustificherebbe anche la presenza di foreste tropicali delle zone attualmente poste a settentrione.
Spiegazione della distribuzione delle tilliti
Detrattori e sostenitori
Wegener era riuscito a spiegare alcuni problemi non risolti dalle teorie fissiste: gli oceani si formano quando i continenti si frantumano e si allontanano, mentre le catene montuose derivano dallo scontro di continenti oppure dall'accartocciamento dei bordi continentali a causa dell'attrito del sial sul sima.
Le critiche all'ipotesi di Wegener iniziarono nel 1924, quando il suo libro fu tradotto in inglese, arrivando a mettere in dubbio anche la sua credibilità come scienziato, non avendo una preparazione geologica accademica e per la sua giovane età. La teoria si presentava troppo "rivoluzionaria" per la mentalità geologica dell'epoca.
I punti più contestati erano:
- le linee di costa sono soggette a movimenti verticali che ne modificano la forma, perciò la combaciabilità è solo una coincidenza;
- le serie magmatiche e sedimentarie delle coste opposte non sono esattamente identiche;
- la flora e la fauna nei diversi continenti è simile ma non identica;
- la glaciazione paleozoica è stata messa in dubbio perché le zone interessate erano troppo lontane per essere raggiunte dai venti umidi apportatori di precipitazioni;
- non si spiega perché la Pangea avrebbe dovuto rimanere unita fino alla fine del Paleozoico per poi smembrarsi in poco tempo;
- la spiegazione fornita per il meccanismo di deriva non è convincente.
Wegener giustificava lo spostamento dei continenti ritenendo che i continenti tendessero a spostarsi verso occidente a causa dell'attrito prodotto dalle maree terrestri le quali, rallentando la rotazione, scollavano la crosta terrestre dal substrato.
Inoltre, sosteneva anche che una causa di deriva era la «fuga dai poli», cioè lo spostamento dei continenti per la forza centrifuga prodotta dalla rotazione.
Infine, pensava che i continenti fossero come delle zattere di sial che «navigavano» attraverso il sima a velocità sostenute.
Il geofisico inglese Harold Jeffreys (1891-1989) fu il più accanito detrattore della teoria di Wegener. Egli contestò la modalità di formazione delle montagne perché, se i continenti possono solcare il sima come fanno le zattere sul mare, non possono piegarsi e arricciarsi lungo il bordo. Egli riteneva, infatti, che la crosta fosse troppo rigida per consentire tali movimenti e che non ci fossero prove che il fondo oceanico potesse esser così plastico.
Per quanto riguarda il motore della deriva dei continenti, egli affermava che un attrito tale da spostare i continenti avrebbe fermato la rotazione terrestre in poco tempo. Inoltre, come altri fisici, criticava la "fuga dai poli" perché la forza riscontrata dall'analisi dei dati era estremamente debole.
Non tutti gli scienziati erano però detrattori della teoria; ci furono anche importanti sostenitori come Daly, Argand, Du Toit e Holmes.
Il geologo canadese Reginald Aldworth Daly (1871-1957) accettava la teoria di Wegener ma invocava un meccanismo diverso per il movimento dei continenti: dopo la separazione della Luna dalla Terra, i continenti si sarebbero spostati per riequilibrare il pianeta, inoltre, i sedimenti accumulati lungo le coste, scivolando per gravità, trascinano il continente.
Il geologo svizzero Emile Argand (1879-1940) fu il primo ad applicare la teoria della deriva dei continenti a un caso specifico: la struttura delle Alpi, che ampliò in un quadro generale della tettonica terrestre con l'opera La tectonique de l'Asie (1924).
Nei suoi studi dimostrò come le falde di ricoprimento delle Alpi potevano essere prodotte solo da spinte orizzontali conseguenti alla deriva dei continenti.
Il geologo sudafricano Alexander Du Toit (1878-1948), fu convinto discepolo di Wegener, al quale dedicò il testo "Our Wandering Continents" (1937); raccolse prove a favore della teoria della deriva dei continenti e ne corresse alcuni errori, studiando la geologia dell'Africa e dell'America meridionale.
Egli adattò i continenti non alle linee di costa, ma ai margini delle piattaforme continentali; inoltre propose la scissione della Pangea in altri due continenti: la Laurasia a nord e la Gondwana a sud, che nel tardo Paleozoico sarebbero già state divise tra loro attraverso un braccio di mare, la Tetide.
Il geologo e geofisico inglese Arthur Holmes (1890-1965) fin dall'inizio si schierò a favore di Wegener. La sua ipotesi sarà trattata nella pagina seguente.