Il metodo scientifico è quel procedimento mediante il quale si giunge a una descrizione vera della realtà, cioè oggettiva e verificabile.
In maniera semplificata possiamo distinguere un metodo:
- deduttivo, che parte dall'universale per giungere al particolare; da principi generali, verità assolute o postulati che non richiedono verifica e distinti dall'esperienza, si deducono, attraverso ragionamenti logici, leggi in grado di spiegare fenomeni particolari; se le premesse sono vere, si possono prevedere fatti senza l'osservazione e l'esperienza;
- induttivo, che invece parte dal particolare per arrivare all'universale, cioè da una osservazione e un'esperienza particolare si formula una legge più o meno generale.
La scienza nell'antichità
Nell'antichità lo studio dei fenomeni naturali si inquadrava in una visione dell'universo di carattere metafisico. I filosofi osservavano un fenomeno e poi, attraverso ragionamenti logici, fornivano una spiegazione, che veniva accettata come vera se ragionevole, senza necessità di verifica sperimentale. I risultati delle osservazioni servivano soltanto a confermare una concezione della realtà formata da verità prime e assolute e, anzi, alcune considerazioni "scientifiche" non erano altro che una proiezione arbitraria, del tutto priva di fondamenti sperimentali, di una preesistente visione filosofica dell'universo.
I filosofi dell'antica Grecia furono tra i primi che cercarono di scoprire le cause dei fenomeni servendosi soltanto della ragione, con risultati che ancora oggi destano meraviglia. Tuttavia il metodo deduttivo da essi impiegato, se è efficace in geometria, lo è molto meno nelle scienze della natura, dove può portare a risultati fuorvianti, perché i fenomeni naturali sono molto più complessi di quanto appaia alla semplice osservazione.
Un esempio di costruzione apparentemente scientifica lo osserviamo in Democrito (V sec. a.C.). Egli presupponeva che tutta la materia fosse costituita da particelle indivisibili (atomi) che nel loro moto si aggregavano per dare origine alle differenti sostanze: questa ipotesi sembra assai vicina alle concezioni attuali, ma è in realtà lontanissima dalla mentalità scientifica moderna: l'ipotesi di Democrito è infatti semplicemente una supposizione di carattere metafisico, del tutto priva di qualsiasi legame con la realtà effettivamente sperimentabile.
Nell'antichità mancava, inoltre, il legame tra scienza e tecnica, cioè tra conoscenza scientifica ed applicazione pratica di essa e, se si escludono poche eccezioni, come ad esempio Archimede (287-212 a.C.), anticipatore del moderno metodo scientifico, lo studio della natura era del tutto disinteressato.
Tra i più importanti filosofi che cercarono di dare spiegazioni logiche agli eventi della natura formulando ipotesi e teorie, sicuramente abbiamo Aristotele (384-322 a.C.). Per questo filosofo la scienza può essere semplicemente esperienza, cioè constatazione che ci sono cose e fatti, ma il sapere razionale deve rispondere a queste due domande: «che cos'è» ciò che sperimentiamo (l'essere o essenza) e «perché» esso c'è (la causa). L'analisi dei fenomeni naturali parte dunque da un'attività dell'intelletto che, superando gli aspetti accidentali della realtà sensibile, è in grado di ricavare le essenze e le qualità delle forme e di dare risposte in termini qualitativi sul perché avviene un determinato fatto. Questa ricerca finalistica delle cause, con domande di tipo generale: «Perché un sasso cade?», rischia tuttavia di fornire una risposta con un'opinione non verificabile: «Un sasso cade perché il suo Fine è di ricongiungersi alla Terra dalla quale proviene».
Nella ricerca dell'essere e delle cause, Aristotele ha introdotto il metodo deduttivo, processo che va dall'universale al particolare, che utilizza il sillogismo, cioè un concatenamento di ragionamenti logici i quali, partendo da due premesse costituite da principi primi e postulati (vere e necessarie) trae una conclusione coerente con le premesse, anch'essa vera e necessaria. Tali conclusioni sono dunque solo il frutto di un lavoro mentale e non sono verificate sperimentalmente: se le premesse sono vere, necessariamente anche la conclusione è vera e se sono false, falsa è pure la conclusione, anche se dedotta con rigore logico.
Anche la verità delle premesse deve essere dimostrata, dedotta dalla verità di altre premesse. Non potendo procedere all'infinito, bisogna arrivare a un punto di partenza che non richieda dimostrazione, a principi logici fondamentali e definizioni aventi la verità in se stessi. Per ottenere questi principi universali interviene l'intelletto, una disposizione acquisita con l'esercizio, in grado di cogliere l'universale senza dimostrazione ma attraverso l'esperienza mediante l'induzione. L'induzione per Aristotele consiste nel sussidio che essa porge alla deduzione poiché prepara la conoscenza delle essenze e i principi della dimostrazione: porta a una prima conoscenza dei fatti particolari ma non il loro «perché».
Se per ottenere una conoscenza veramente fondata è preferibile il sillogismo all'induzione, non manca comunque in Aristotele l'esperienza; basti ricordare i suoi studi su fisica, astronomia, mineralogia, zoologia e botanica e la sistematizzazione degli organismi in gerarchie, dalle forme semplici a quelle più complesse (scala naturae).
La scienza dal Medioevo al Rinascimento
Durante il Medioevo i grandi pensatori dell'antichità, e in particolare Aristotele, hanno un'autorità indiscussa presso gli studiosi, ritenendo che sia possibile stabilire la verità su qualunque questione filosofica o scientifica semplicemente studiando ciò che è stato scritto dagli antichi. «Ipse dixit», l'ha detto Aristotele, è una frase che chiude definitivamente qualsiasi disputa; le argomentazioni scientifiche fornite da Aristotele sono ritenute assolute, complete e definitive, le sue opere sono considerate perfette, tutto è già stato compreso sui fenomeni naturali, perciò è inutile ogni ulteriore ricerca scientifica e gli studiosi non devono fare altro che analizzare i problemi sulla base di quanto è già stato scritto dal filosofo greco. Gli eventuali esperimenti hanno una validità solo come conferma dei principi generali: se i risultati sperimentali contraddicono i principi, devono essere rigettati.
Con la scolastica, la visione aristotelica del mondo entra a far parte del patrimonio culturale religioso. In particolare, Tommaso d'Aquino (1225-1274) interpretò Aristotele con l'intento di conciliare la sua filosofia, la rivelazione cristiana e i dogmi della chiesa. Egli ammette due vie per raggiungere la verità, una è rappresentata dalla fede e l'altra dalla ragione. La prima non è soggetta a errore mentre la seconda può dare conclusioni errate: se, infatti, le due verità non coincidono, il ragionamento è errato e bisogna rifarlo fino a correggere l'errore. La conoscenza razionale parte dalla sensazione, dalla quale il soggetto trae la "forma sensibile", poi l'intelletto ne astrae la "forma intelligibile", cioè l'essenza: la verità è l'adeguamento tra l'intelletto e la cosa, tra il concetto attuato nell'intelletto e l'intelligibile presente nella cosa.
Alla scolastica appartiene anche il contemporaneo Ruggero Bacone (1214-1274), secondo il quale la fonte ultima del sapere è l'esperienza, che è superiore a ogni autorità - ciò che è stato detto in passato o è opinione comune - e a ogni astratto ragionamento, mentre la ragione ha solo un compito sussidiario e strumentale. L'esperienza non è però intesa nel senso moderno di esperimento, ma è osservazione diretta.
A partire dal XV secolo la realtà comincia a mostrarsi in tutta la sua complessità e la visione aristotelica, ma anche il dogma religioso, adatti alle esigenze dell'uomo dell'antichità e del Medioevo, evidenziano la loro inadeguatezza davanti al rapido progresso della tecnica; tuttavia, chi si pone in conflitto con l'autorità di Aristotele e della Chiesa, con le loro "verità assolute", rischia il tribunale dell'Inquisizione.
Leonardo Da Vinci (1452-1519) ha aperto nuovi campi alla ricerca scientifica, anticipando alcuni aspetti del metodo sperimentale di Galileo con l'affermare dell'importanza della sperimentazione empirica e della dimostrazione matematica; si servì del disegno per spiegare il meccanismo dei fenomeni, seppe collegare scienza e tecnica - si vedano i suoi progetti di ingegneria e le famose macchine -, studiò l'anatomia del corpo umano e, soprattutto, respinse le spiegazioni generali di carattere metafisico e il ricorso al principio di autorità non fondato sull'esperienza.
Solo all'inizio del XVII secolo con l'opera del filosofo inglese Francesco Bacone (1561-1626) è esplicitamente teorizzato il metodo sperimentale come metodo privilegiato dell'indagine scientifica. Egli critica la logica aristotelica che produce sterili sillogismi, arbitrarie deduzioni da premesse generali di cui non si dice come siano ottenute, un'induzione che pretende di giungere a principi universali solo con pochi dati di osservazione, che ricava la conoscenza del mondo dalla mente umana invece di cercarla nell'osservazione della natura. Ad essa contrappone l'esperienza, che non è una semplice raccolta di dati di osservazione, ma consiste nella "interrogazione" della natura in modo da cercare nei fenomeni la loro "forma", il loro schematismo, le loro note comuni. Quello che in apparenza appare un metodo innovativo, in realtà risulta assai simile alla fisica aristotelica in quanto basato su un approccio qualitativo allo studio della natura. Manca il carattere matematico che vedremo in Galileo, che mira invece a scoprire le leggi dei fenomeni.
Il metodo sperimentale galileiano
Con Galileo Galilei (1564-1642) si assiste a una più matura rappresentazione dell'indagine sperimentale, basata sulla descrizione quantitativa dei fenomeni esaminati e su procedure di conferma di ipotesi formulate matematicamente. Si tratta di un metodo scientifico nuovo, sottratto a ogni condizionamento metafisico e a ogni principio dogmatico, che abbandona i vecchi assiomi che per secoli erano stati considerati dagli studiosi come "verità assolute".
La scienza, quindi, per Galileo deve essere indipendente dall'autorità della Bibbia, che non si può considerare un libro scientifico, ma un libro che serve a guidare gli uomini alla salvezza - mentre la Controriforma pretendeva un sapere sottomesso ad essa -, ma anche deve allontanarsi dalla cultura aristotelica - non dallo stimato Aristotele! - basata sulla consultazione dei testi invece che sull'osservazione della natura, che è l'unico libro oggetto della scienza, da interpretare con l'esperienza.
Se in Aristotele prevalse il metodo deduttivo, che partiva da premesse certe per arrivare a conclusioni certe, Galileo, si domanda non solo il «perché» avvengono certi fenomeni, ma «come» essi si determinano, abbandonando la ricerca delle essenze primarie e delle qualità, dandone un'interpretazione di carattere quantitativo tramite l'osservazione empirica e l'elaborazione di esperimenti; elimina quindi le cause finali a favore delle cause meccaniche ed efficienti.
Per osservare e conoscere un dato fenomeno, perciò, l'esperienza in Galileo assume il moderno significato di esperimento. I due termini coincidono solo in parte: l'esperienza può essere solo una semplice constatazione dei fatti e un loro accumulo più o meno ordinato, mentre l'esperimento implica l'intervento attivo del ricercatore, che riproduce il fenomeno naturale esaminato in condizioni semplificate e misurabili. Infatti, la nostra esperienza quotidiana può ingannare i sensi, mentre l'esperienza scientifica deve essere il frutto di un'elaborazione teorico-matematica dei dati che nasce da una deduzione intuitiva dell'intelletto che è poi l'esperimento.
Oltre che all'esperienza, Galileo attribuisce la massima importanza alla matematica, sia come linguaggio di per sé rigoroso e univoco, sia soprattutto come strumento atto a garantire la correttezza logica e, quindi, l'indiscutibilità, di qualunque conclusione.
Gli studiosi del pensiero galileiano si dividono fra chi vede in Galileo il prevalere dell'aspetto empirico del suo metodo di ricerca e chi vede maggiormente il carattere matematico-razionalistico di esso. Questa dicotomia è dovuta al fatto che Galileo non ha lasciato nessun testo sul suo metodo scientifico, perciò la sua metodologia deve essere ricavata indirettamente dai suoi scritti. In realtà, sono presenti sia l'istanza empirica sia l'istanza matematica, perché nessuna delle due, da sola, esaurisce il suo metodo di indagine.
Esaminiamo ora le fasi del metodo scientifico di Galileo.
- Il punto di partenza è l'osservazione del fenomeno, sul quale vengono fatte delle misurazioni; solo la misura è in grado di creare la compenetrazione tra esperienza e matematica.
- Il secondo momento dell'indagine è la formulazione di una ipotesi. Questa dovrà avere carattere matematico ed essere la più semplice possibile.
- Il terzo momento consiste nella verifica dell'ipotesi (cimento), attraverso gli esperimenti: se la verifica è stata positiva, l'ipotesi è vera e a questo punto si può formulare una legge; se è negativa, è falsa e occorre tentarne un'altra.
Utilizzando un'altra terminologia, possiamo distinguere:
- Un momento osservativo-induttivo (o risolutivo-analitico), delle "sensate esperienze" basato sull'osservazione della natura e sull'analisi dei dati, dopo aver ridotto un problema complesso in elementi semplici e misurabili, per formulare un'ipotesi in grado di spiegarlo.
- Un momento ipotetico-deduttivo (o compositivo-sintetico), delle "necessarie dimostrazioni", dove si verifica l'ipotesi attraverso l'esperimento e con ragionamenti logici condotti su base matematica, mediante i quali sono rielaborati i dati, per poi formulare delle leggi. La conoscenza scientifica può quindi partire direttamente dalla mente, ma deve sempre essere verificata dall'esperimento.
In Galileo sono dunque presenti sia il metodo induttivo che quello deduttivo, in due momenti che si implicano a vicenda, andando a costituire l'insieme dell'esperienza scientifica.
Il metodo scientifico moderno
Prima di analizzare le fasi del metodo scientifico, precisiamo quali caratteristiche deve avere la scienza.
- La scienza si basa su risultati di osservazioni e di esperimenti.
- I risultati devono essere (almeno in linea di principio) ripetibili e verificabili da altri scienziati.
- I risultati scientifici devono essere confutabili.
- Il metodo sperimentale si fonda sull'autonomia della scienza; essa trova le sue verità indipendentemente dalla filosofia e dalla fede.
Il metodo seguito dalla scienza moderna è principalmente quello induttivo-sperimentale. Induttivo, perché risale dal particolare al generale, dal fenomeno e dall'esperienza particolare alla formulazione di una legge più o meno generale; sperimentale, perché si giunge all'enunciazione di leggi scientifiche mediante conferma, ovvero falsificazione sperimentale (ritorneremo su questo concetto nel prossimo paragrafo), di ipotesi basate sulle osservazioni ripetute di determinati fenomeni.
Il procedimento usato nell'indagine scientifica per studiare i fenomeni sperimentalmente in laboratorio e giungere all'enunciazione di leggi comprende varie fasi:
- Osservazione;
- Individuazione del problema;
- Documentazione;
- Formulazione dell'ipotesi;
- Verifica sperimentale;
- Analisi dei dati;
- Comunicazione dei risultati;
- Ricerche e ulteriori verifiche;
- Enunciazione della legge.
Esaminiamole in dettaglio.
Osservazione
Il metodo scientifico induttivo parte dall'osservazione di un oggetto, di un fenomeno naturale, di una relazione tra organismi, ecc. e su questo si cercano di individuare le caratteristiche e di eseguire eventuali misurazioni.
Individuazione del problema
L'osservazione può suscitare nello scienziato una domanda: «A cosa serve questo oggetto? Come si verifica questo fenomeno? Che relazione esiste tra queste specie? ...». Le domande devono essere specifiche e limitate, non generali, nelle quali sia possibile identificare dei fattori (variabili) che saranno oggetto della successiva verifica sperimentale.
È stato quindi individuato un problema che deve essere formulato in modo tale da permettere di procedere con la fase successiva. Il problema può anche nascere da una riflessione già presente nella mente dello scienziato senza un'osservazione diretta.
Documentazione
Posta la "giusta" domanda, lo scienziato raccoglie i dati e si documenta, cioè ricerca quanto è già stato scritto da altri ricercatori su questo problema, ne elaborerà i dati e su questi deciderà su quali aspetti sia necessario porre nuove osservazioni e misure.
Formulazione dell'ipotesi
Lo scienziato, in base alle osservazioni e ai dati a disposizione, può ora fare un primo tentativo di spiegare i fatti, cioè formula un'ipotesi provvisoria che spieghi le regolarità osservate, che individui relazioni tra eventi o oggetti, che risponda quindi alla domanda. Qui entra in gioco l'abilità, l'esperienza, la creatività e l'intuito del ricercatore - che non è un semplice esecutore di passaggi automatici - nel formulare un'ipotesi che soddisfi questi criteri:
- deve essere quanto più possibile semplice;
- deve saper fornire un'interpretazione a tutte le osservazioni che sono state compiute fino a quel momento;
- deve essere tale che si possano eseguire esperimenti che possano confermarla o smentirla, deve essere cioè "falsificabile".
Verifica sperimentale
In questa fase il ricercatore verifica la corrispondenza tra i risultati ottenuti dall'attività di ricerca e la sua ipotesi iniziale attraverso l'esecuzione di esperimenti in condizioni controllate che la verificano o la falsificano. Con l'esperimento si cerca di riprodurre il fenomeno approntando una serie di prove, ciascuna delle quali ha un solo elemento diverso (fattore variabile), ad esempio si fanno più esperimenti a temperatura diversa, oppure con tempi differenti, ecc., insieme a una prova di controllo che ha le stesse condizioni delle altre, ma priva del fattore variabile, che ha lo scopo di confermare che i risultati ottenuti dalla prova sperimentale siano dovuti esclusivamente al fattore variabile.
Analisi critica dei dati
A conclusione dell'esperimento, lo scienziato deve prendere nota di come esso si è svolto e di ogni particolare che ha potuto osservare, completando eventualmente il tutto con grafici, tabelle, disegni opportunamente commentati. In questa fase è di grande utilità anche il confronto con esperimenti analoghi condotti da altri scienziati. Dalla loro analisi e dal confronto con l'ipotesi formulata, si può verificare se può essere confermata, oppure abbandonata qualora anche una delle prove abbia dato esito negativo; in questo caso il ricercatore deve formulare una nuova ipotesi da verificare con altri esperimenti.
Comunicazione dei risultati
La comunicazione è di fondamentale importanza perché permette ad altri ricercatori di approntare verifiche che confermino i risultati o che rivelino la presenza di errori oppure formulare nuove ipotesi.
Il risultato ottenuto dalla ricerca scientifica è divulgato tramite conferenze e convegni e con pubblicazione di articoli su riviste scientifiche specializzate. Questi devono essere redatti con precisi criteri, specificando la metodologia seguita, gli strumenti usati, i dati ottenuti e le conclusioni, accompagnate da eventuali tabelle, grafici e illustrazioni.
Ricerche e ulteriori verifiche
Dopo la pubblicazione, altri ricercatori possono prendere visione dell'ipotesi, testarla con metodologie diverse o da un differente punto di vista ed eventualmente rilevare errori.
Enunciazione della legge
Se l'ipotesi fatta è convalidata più volte dalla verifica sperimentale e non è stata contraddetta da nessun esperimento, si può enunciare una legge scientifica (o un principio). La legge scientifica è un'affermazione che, usando relazioni matematiche, descrive un comportamento nel quale è possibile verificare una certa regolarità, cioè illustra come si manifesta un fenomeno date certe condizioni, senza però fornirne la spiegazione.
La logica deduttiva: teoria e modello
Finora abbiamo visto come la scienza proceda utilizzando il metodo induttivo, ma ci sono casi in cui è necessario servirsi del metodo deduttivo.
Innanzitutto, poiché la deduzione è l'interpretazione di un'osservazione, anche nella sequenza del metodo illustrato sopra c'è una fase di logica deduttiva: la conferma o la smentita dell'ipotesi con la verifica sperimentale e l'interpretazione dei dati.
Quando è stata stabilita una legge, senza procedere ad ulteriori esperimenti, è possibile dedurre delle conseguenze che consentono di prevedere come un certo fenomeno, analogo a quello osservato, si svolgerà nella realtà.
Ci sono poi alcune discipline che fanno uso della deduzione come la matematica, la dimostrazione di teoremi, le costruzioni della geometria euclidea.
Ritornando al discorso della legge, abbiamo già precisato che essa descrive un fenomeno naturale senza darne una spiegazione. Per ottenere quest'ultima, ci serviamo della teoria che, invece, spiega il perché, cioè la causa del fenomeno. Lo scienziato controlla se la legge si accorda con altre leggi già note che descrivono differenti aspetti del fenomeno da lui osservato. Se ciò si verifica, si può codificare la teoria, cioè un insieme sistematico e coerente di leggi concernenti il medesimo argomento che ne fornisce una interpretazione generale complessiva, supportata da molte evidenze scientifiche e verificata molte volte da ricercatori diversi.
La teoria viene quindi utilizzata per prevedere nuovi fenomeni. Le previsioni sono verificate attraverso una serie di prove. Se i controlli danno esito negativo si rivede la teoria, altrimenti essa viene confermata.
Una teoria che sia costantemente verificata da esperimenti diversi si può considerare un fatto scientifico, anche se bisogna ricordare che le leggi e le teorie scientifiche sono sempre verità provvisorie, che rimangono valide finché non emergono nuove conoscenze o nuovi esperimenti che le dimostrino false, perciò vanno incontro a continue trasformazioni, rivisitazioni e verifiche, oppure sono sostituite con altre leggi e teorie più aggiornate.
Per facilitare il compito di formulare la teoria, si può ricorrere al modello, uno strumento di ragionamento e di calcolo, un'astrazione semplificata, che aiuta a descrivere quelle strutture naturali che si presentano piuttosto complesse. Il modello deve essere successivamente verificato: dopo numerosi controlli con esito positivo, si può affermare che il modello è affidabile. Il modello non è la realtà, ma una sua rappresentazione semplificata.
Per completezza, accenniamo alla critica al metodo induttivo fatta da alcuni studiosi, fra cui Karl Popper (1901-1994). Secondo questo filosofo:
- l'osservazione è sempre inficiata da "preconcetti", cioè dal bagaglio di conoscenze del ricercatore, per cui egli ha già nella mente, anche inconsciamente, una ipotesi, che invece dovrebbe essere il punto di arrivo: l'ipotesi o una teoria precedono quindi l'osservazione.
- poiché non è possibile esaminare tutti i casi di un fenomeno, ma ci si limita ad un campione - da cui si pretende di ricavare una legge universale -, c'è sempre la possibilità che un osservazione successiva porti a un caso contrario a quelli osservati finora; in altre parole, se io ho sempre osservato cigni bianchi, non significa che essi siano "tutti" bianchi: non posso escludere che esistano anche cigni neri;
- gli esperimenti possono verificare positivamente un'ipotesi o una teoria, ma ciò non significa che esse saranno "sempre" verificate, quindi le teorie non saranno mai verificate empiricamente.
Da queste affermazioni, il filosofo arriva alla conclusione che l'induzione non esiste.
Dal momento che il metodo induttivo non può mai garantire la veridicità di una ipotesi o teoria, Popper innanzitutto propone un criterio di demarcazione fra quella che è la scienza o la non-scienza, la falsicabilità: le affermazioni scientifiche (ipotesi, leggi teorie), per essere tali, devono, almeno potenzialmente, essere confutabili (falsificabili). La verificabilità, infatti, non riesce a salvaguardare le teorie scientifiche poiché le osservazioni sono sempre riferite a casi particolati. C'è dunque un'asimmetria tra verificazione e falsificazione di un evento: un numero elevatissimo di conferme non garantisce la certezza di una teoria, mentre basta un solo caso contrario per confutarla.
Il metodo deduttivo di Popper comporta tre passaggi:
- Problema;
- Congettura;
- Confutazione.
Si tratta di un metodo deduttivo che procede per tentativi ed errori, congetture e confutazioni, fino ad avvicinarsi sempre più alla comprensione della realtà.
Ora lo esaminiamo più in dettaglio.
- La ricerca non parte dall'osservazione, ma da problemi pratici o da una teoria che si è imbattuta in difficoltà.
- Lo scienziato tenta di risolvere il problema che la teoria ha incontrato facendo una congettura, cioè propone un'ipotesi da cui dedurre una serie di conseguenze. È qui che entra in gioco la creatività del ricercatore - la capacità di connettere elementi che già esistono con altri elementi -, cioè egli deve essere in grado di immaginare una congettura che possa essere falsificata.
- La congettura è sottoposta a controlli sperimentali per verificare se si realizzano le previsioni, tentando di confutarla (falsificazione), cioè di trovare errori, punti deboli, incongruenze per correggerla e migliorarla. Le esperienze e le osservazioni sono importanti ma, come si vede, sono precedute dalla teoria, diversamente da quanto accade con il metodo induttivo.
- Nella ricerca degli errori possono emergere involontariamente nuovi problemi, che saranno punti di partenza per altre ricerche.
- Se dalla verifica sperimentale compare un errore, l'ipotesi è falsificata e si deve formulare una nuova congettura; se invece resiste alle prove che tentavano di confutarla, l'ipotesi non è confermata, semplicemente non è smentita e può essere provvisoriamente accettata in quanto più valida di altre.
I limiti del metodo scientifico
Il metodo scientifico non può sempre essere applicato con le procedure che abbiamo presentato sopra. Ci sono alcuni casi che mostrano i limiti del metodo.
Misurabilità
Fin dall'epoca di Galileo le misurazioni rappresentano una fase importante del metodo scientifico, ma non sempre è possibile misurare tutto. Ad esempio, secondo il principio di indeterminazione di Heisenberg, non possiamo stabilire contemporaneamente la velocità e la posizione dell'elettrone. La meccanica quantistica ha sparigliato le carte perciò, anche se l'elettrone è oggetto di scienza, non tutto ciò che lo riguarda è misurabile.
Prevedibilità
Da una teoria posso prevedere una serie di conseguenze e poi verificarle modificandone i parametri. Quando in un sistema interagiscono pochi oggetti, piccolissime variazioni delle condizioni iniziali hanno conseguenze piccolissime nei risultati finali, perciò l'approssimazione insita nella misura ha effetti trascurabili. Se però ci troviamo di fronte a sistemi complessi, con molti parametri, una minima variazione delle condizioni iniziali produce enormi effetti nei risultati finali, è il cosiddetto "effetto farfalla". Per questo motivo le previsioni meteorologiche hanno una buona validità nel breve periodo, ma non sono prevedibili fenomeni a lungo termine.
Ripetibilità
Uno dei punti fondamentali della scienza è che gli esperimenti possano essere ripetuti più volte da ricercatori diversi e in tutti i laboratori del mondo. In presenza di sistemi complessi, non è sempre possibile avere le medesime condizioni iniziali e, per l'effetto farfalla, i risultati finali possono essere notevolmente diversi, quindi talune esperienze non possono essere ripetute. In alcune discipline, come la meteorologia, si utilizzano modelli simulati al computer. Nei fenomeni evolutivi la difficoltà riguarda i tempi lunghissimi che il processo richiede, allora si ricorre all'analisi genetica, allo studio dei fossili e a esperimenti con organismi dal ciclo molto breve.
Uniformabilità
Quando si enuncia una legge fisica, si dà per scontato che essa valga in ogni luogo e in ogni tempo. In realtà, si suppone che in alcune regioni dello spazio, come all'interno dei buchi neri, le leggi che conosciamo non siano applicabili. Anche nelle condizioni estreme che c'erano nei primi istanti di formazione dell'Universo, potrebbero essere non valide le nostre leggi fisiche.
Risolvibilità
Anche nella matematica possiamo incontrare dei limiti nel metodo (deduttivo, in questo caso). Partendo da assiomi, postulati o altri elementi accettati senza dimostrazione, si ritiene che possano essere risolti tutti i problemi all'interno di un sistema con l'applicazione di una serie di teoremi.
Nel 1931 Kurt Gödel (1906-1978) ha dimostrato che l'affermazione della risolvibilità di ogni problema non è vera. Partendo da un sistema di assiomi possiamo dedurre delle conseguenze vere ma, dopo una lunga catena di deduzioni, si arriva necessariamente ad un punto in cui non si può affermare se le conseguenze sono vere o false; anche ampliando la teoria, includendo nuovi assiomi, si arriva comunque ad una proposizione indecidibile, che si risolve allargando ulteriormente il numero di assiomi. E così si procede all'infinito. Non tutto è quindi risolvibile.