La genetica
Avevamo lasciato Darwin con i problemi riguardanti l'origine della variabilità e la trasmissione dei caratteri ereditari.
Verso la fine dell'Ottocento Hugo De Vries (1848 - 1935) scoprì e definì il fenomeno della mutazione, cioè della comparsa di variazioni riguardanti i caratteri degli organismi. Tali mutazioni sarebbero ereditarie. La sua teoria delle mutazioni, o mutazionismo, spiegherebbe l'evoluzione delle specie con la comparsa di improvvise e importanti mutazioni, perciò la trasformazione sarebbe brusca e non graduale - con la somma di piccole variazioni - come ammetteva Darwin.
Nel 1900, insieme ad altri ricercatori, lo stesso De Vries riscoprì le leggi dell'ereditarietà, poi denominate "leggi di Mendel" dal nome del primo scopritore.
Nel 1915 Thomas Hunt Morgan (1866 - 1945), lavorando con la Drosophila melanogaster, formulò la teoria cromosomica dell'eredità.
Nel 1918 Ronald Aylmer Fisher (1890 - 1962) applicò dei modelli matematici e statistici allo studio della genetica, dimostrando che le variazioni continue descritte da Darwin possono esser fatte derivare dall'azione di molti loci distinti.
La genetica entrava a pieno titolo nella biologia sperimentale, ma non era ancora chiaro il suo impatto nella teoria dell'evoluzione per selezione naturale, inoltre, essa studiava i singoli individui, mentre i naturalisti si occupavano di specie e popolazioni.
Hugo De Vries
La teoria sintetica
Fu lo stesso Fisher (1930) e, indipendentemente, Sewall Wright (1931) e John B. S. Haldane (1932), a completare il lavoro teorico che portò alla sintesi della teoria darwiniana della selezione naturale con quella mendeliana dell'ereditarietà, superando il conflitto tra variazione continua, eredità discreta e selezione, e i naturalisti iniziarono a studiare le popolazioni applicando gli strumenti propri della genetica.
I modelli matematici proposti da questi autori dovevano essere suffragati sperimentalmente e, inoltre, dovevano interfacciarsi con discipline che lavorano su scala macroscopica, come la paleontologia e la sistematica.
Il primo lavoro secondo i nuovi modelli riguarda la genetica, è del 1937 ed è stato presentato dal genetista e zoologo sovietico Teodosij Grigor'evic Dobžanskij (1900 - 1975); a esso seguirono il lavoro del naturalista tedesco Ernst Mayr (1904 - 2005) sulla sistematica, nel 1942 e quello sulla paleontologia, nel 1944, dello statunitense George Gaylord Simpson (1902 - 1984). Nel 1950 si aggiunse il libro sulla botanica di George Ledyard Stebbins Jr. (1906 - 2000), i testi di citologia e genetica di Cyril Dean Darlington (1903 - 1981) e le opere sulla morfologia di Bernhard Rensch (1900 - 1990).
Nel 1942 il biologo inglese Julian Sorell Huxley (1887 - 1975), nipote di Thomas, nel libro Evolution. The Modern Synthesis introdusse la definizione di "sintesi moderna", chiamata teoria sintetica dell'evoluzione nella seconda edizione del 1963, impropriamente detta anche neodarwinismo.
Julian Sorell Huxley
La teoria è detta "sintetica" perché integra la teoria dell'evoluzione per selezione di C. Darwin, le leggi della genetica di G. Mendel e le mutazioni di H. De Vries, l'approccio matematico della genetica di popolazione e i dati forniti dalla paleontologia. Essa unifica i diversi rami della biologia, considerando il gene come unità fondamentale dell'eredità, visto all'interno di una concreta popolazione di organismi, che è il soggetto dell'evoluzione, inserita in un particolare ambiente naturale.
Negli ultimi decenni la teoria sintetica ha subito una trasformazione grazie alle nuove scoperte nel campo della genetica, di cui parleremo più avanti.
Chiarimenti terminologici
Definizione di evoluzione
L'evoluzione, dal punto di vista biologico, rappresenta l'insieme dei processi che hanno portato alla trasformazione, nel tempo, della vita sulla Terra, dalla sua origine alle forme attuali. L'evoluzione si basa soprattutto sulle interazioni tra ambiente e variabilità genetica individuale.
Microevoluzione
La variazione nel tempo delle frequenze alleliche dei geni nelle popolazioni, conseguente a un processo riproduttivo differenziale, è chiamata microevoluzione. Per questo motivo lo studio riguarda la genetica di popolazione.
Il termine microevoluzione indica che l'evoluzione che si verifica nelle popolazioni è un'evoluzione su piccola scala e porta alla formazione di sottospecie o specie affini.
Il graduale adattamento a diverse nicchie ecologiche spiega come da una specie di iguana si formi un'altra specie di iguana, da una specie di farfalla da un'altra specie di farfalla, e così via. Le modifiche sono minime perché si limitano a modificare il pool genico di una specie e non hanno richiesto molto tempo per formarsi e, inoltre, sono reversibili.
Macroevoluzione
Si usa invece il termine macroevoluzione per indicare processi mediante i quali hanno origine nuove forme viventi a livello di specie o a un livello superiore; ne è un esempio l'evoluzione che, a partire dai Rettili, ha portato alla comparsa dei Mammiferi. Se fosse avvenuta solo la microevoluzione, la Terra sarebbe abitata solo da forme altamente adattate della prima forma di vita.
Per sviluppare tipi di animali così diversi, al di sopra del livello di specie, l'evoluzione deve aver prodotto modifiche e adattamenti tali da rimodellare più volte l'intera architettura dell'animale.
Condizioni perché si verifichi
Perché possa esserci evoluzione occorrono tre presupposti:
- Deve esserci del "materiale grezzo", cioè la variabilità individuale, su cui possa essere fatta una scelta.
- Il materiale scelto deve essere ereditabile per poter essere trasmesso ai figli.
- Il materiale scelto deve essere abbinato al successo riproduttivo dell'individuo.
Che cosa si evolve?
Nel processo evolutivo, il gene, l'individuo e la popolazione svolgono ciascuno un proprio ruolo.
Il gene rappresenta l'unità di variazione. È, infatti, responsabile della variabilità degli individui all'interno di una specie, poiché è soggetto a mutazioni.
L'individuo rappresenta l'unità di selezione. Esso cresce, si riproduce, o muore prima di riprodursi, e viene quindi selezionato in base alle proprie caratteristiche nel corso della vita, ma non può evolvere. La sua selezione però (positiva o negativa), poiché favorisce o impedisce la trasmissione dei suoi geni, modifica il corredo genetico delle generazioni successive, aumentandone o diminuendone il successo riproduttivo.
La specie rappresenta l'unità di evoluzione. Più precisamente, come aveva notato Darwin, non è il singolo organismo che si evolve, ma la più piccola unità che può evolvere è la popolazione.
Principi fondamentali della teoria sintetica
In una popolazione nascono più individui di quanti ne possano sopravvivere.
Le mutazioni rappresentano la fonte di nuovi alleli che, insieme alla riproduzione sessuata, forniscono la variabilità genetica all'interno di una popolazione e ne modificano le caratteristiche morfologiche, fisiologiche o comportamentali, fornendo opportunità diverse di sopravvivenza.
La selezione naturale, favorendo o sfavorendo una determinata caratteristica, modifica il pool genico della popolazione (non un singolo genotipo) portando un adattamento all'ambiente.
La variazione delle frequenze alleliche può anche avvenire in modo casuale (deriva genetica) o mediante le migrazioni.
L'accumularsi di variazioni genetiche nel corso del tempo (microevoluzione) genera cambiamenti macroscopici a livello di specie (macroevoluzione) se tra le popolazioni si arriva ad un isolamento riproduttivo.
Nella storia della Terra si sono succedute, quindi una serie di specie diverse, tutte derivate da un antenato comune.